Speciale – Cinema & Gaming

 

In un seminario da noi affrontato abbiamo analizzato alcuni titoli che con il cinema condividono alcune scelte tecniche e artistiche. E’ stato fatto l’esempio di LIMBO, splendido gioco arcade per PS3, X360 e PC,  che con il cinema di Méliès ha in comune quello che possiamo chiamare spazio lateralizzato. Qui lo sfondo scorre orizzontalmente ai movimenti del protagonista, usando una singola inquadratura che possiamo accostare a un campo lungo o medio citando quei termini appartenenti al linguaggio cinematografico e prima ancora fotografico. Questa scelta tecnica è comune a molti dei titoli della passata generazione videoludica, tra i più famosi Super Mario e Sonic, che anche dopo anni e varie release stentano ad abbandonare la strada del 2D. Vedi New Super Mario Bros Wii. A seguire è stata la volta di un titolo Valve, Portal e relativo sequel. In questa situazione ci siamo trovati al cospetto del sentiero seguito da molti giochi moderni: grafica completamente tridimensionale con inquadratura in soggettiva, anche detta in prima persona. Questi titoli sono classificati con la sigla FPS (First Person Shooter) e sono resi sempre più realistici in ambito grafico e sonoro grazie alla maggior potenza Hardware a disposizione degli sviluppatori.
Se vogliamo trovare un’analogia con il cinema al salto dal 2D al 3D del videogames possiamo pensare alla differenza tra le scenografie piatte delle rappresentazioni di Méliès e le inquadrature del cinema moderno, dove l’azione buca i campi dello schermo dando la sensazione di continuare anche al di fuori di esso. In sintesi rispetto ai giochi bidimensionali, la 3° dimensione regala all’utente quella profondità e quell’immersione impensabili fino a due decenni fa.

Adesso la domanda è questa: perché usare le inquadrature in soggettiva?
Lo scopo di questo artificio tecnico, sia nel cinema che nel videogioco, è quello di enfatizzare il rapporto tra spettatore/giocatore e attore/personaggio controllato. In sostanza, si guarda il mondo del gioco/film attraverso gli occhi di chi lo vive. Ma nel cinema, non avendone il controllo, l’effetto è ancora più sorprendente, specialmente in quel genere come gli horror dove l’impossibilità di vedere oltre lo sguardo del protagonista crea ansia nello spettatore. Nel videogame, al contrario, il controllo sullo sguardo del personaggio virtuale in ogni situazione, in teoria, scema l’effetto sorpresa. Anche se i game design riescono comunque a creare atmosfere terrificanti utilizzando suoni inspiegabili, giocando in alcuni casi con la psiche del videogiocatore. Proiettandolo in luoghi minacciosi dove si sarà costretti ad affrontare situazioni proibitive. Questo grazie a meccaniche di gameplay studiate appositamente per incutere terrore, come fatto in due PFS horror come Condemned e Bioshock. In entrambi i casi è il perenne senso di solitudine a disturbare il giocatore per tutta la durata dell’avventura.
Ma torniamo all’interazione, è essa a separare i due mondi. Nel cinema siamo fruitori passivi, nel videogioco abbiamo noi il controllo della situazione

Artefici del nostro destino?
Non del tutto. Alcuni titoli scelgono di poggiare la propria struttura a dei plot predelineati, dove il giocatore ha solo il compito di spostarsi da un punto A a un punto B senza prendere decisioni che avranno influenza all’interno del mondo di gioco.
Come nei vari Call of Duty dove l’utente ha l’incarico di maciullare a colpi di piombo tonnellate di nemici all’interno di una struttura a livelli delimitata da barriere invalicabili.
Gli sviluppatori di questi titoli fanno la parte dei registi, dandoci un terreno dove muoverci in cui tutto è comandato da eventi lineari, scriptati e molto cinematografici. In questo caso, il titolo sopracitato prende a piene mani situazioni già viste in molti film di guerra come Salvate il sodato Ryan. Usando nelle scene di intermezzo un ritmo narrativo incalzante simile a questo genere di pellicole belliche. E allora come non citare Medal of Honor uscito per la prima playstation e ideato dallo stesso Steven Spielberg attraverso la branca videoludica della Dreamworks all’indomani del successo del suo capolavoro bellico uscito nel 1998 nelle sale.
Videogiochi, ma non parlo solo di questo genere, che utilizzano accompagnamenti musicali scritti e diretti, in alcuni casi, da compositori presi in prestito da Hollywood. Ad esempio l’FPS Modern Warfare 2 presenta una colonna sonora ideata dal grande Hans Zimmer, compositore di film come, cito i più recenti, Inception e Batman.
Ma queste collaborazioni lasciano il tempo che trovano perché la differenza sostanziale risiede nel ritmo delle situazioni. Nel cinema il tutto è predeterminato all’inizio. In un videogioco l’interattività esige brani che mutino in tempo reale in relazione alle azioni del giocatore.
Anche in presenza di un gioco scriptato come COD (Call of Duty) la musica in sottofondo dovrebbe sottolineare quei momenti come un colpo di fucile ben assestato a un nemico o un cambio di ritmo musicale tra una corsa e dei movimenti più lenti.
In ambito videoludico esistono pochi titoli con questa caratteristica, ad esempio The legend of Zelda per Nintendo Wii. Ma la maggior parte delle opere multimediali interattive resta fedele ai canoni cinematografici anche per quanto riguarda l’uso dell’effettistica audio.
Sotto questo aspetto vorrei prendere in considerazione un altro FPS a sfondo bellico come Battlefield 3 che utilizzando un engine (Frostbite 2) riesce a rendere l’esperienza sonora quanto più realistica possibile, con proiettili e deflagrazioni che circondano il giocatore omnidirezionalmente.
E come in un buon film pieno di frastuoni, il tutto può essere reso ancora più credibile utilizzando un sorround con certificazione Dolby Digital o Dts e se vogliamo far felice il buon Lucas, anche THX.
Arrivati a questo punto, dopo aver discusso su quei titoli con uno script lineare, diamo un’occhiata a quelli che fanno della libertà il loro punto di forza. Andando un po’ indietro nel tempo, considerando il  mondo console, possiamo delineare come capostipite del genere Open World il famosissimo Grand Theft Auto. Il primo titolo di questa fortunata serie venne pubblicato per la prima Playstation. Il gameplay proponeva una telecamera a volo d’uccello e dava la possibilità di controllare il personaggio all’interno di un mondo di gioco aperto e completamente esplorabile. O meglio, si aveva modo di girovagare per una città, vivendo una trama che si allacciava a temi trattati in pellicole a sfondo criminale.
Ma la libertà, come anche nei titoli moderni che abbracciano questo genere, era ed è solo di movimento, potremo darle il nome di libertà fisica. Qui il fruitore può, tra una missione principale e l’altra, andare a zonzo per ore senza combinare niente con il solo scopo di divertirsi.
Tra i titoli presenti a lezione è stato mostrato Red Dead Redemption che apre le porte del vecchio West, dando modo al gamer di avanzare nella trama in qualunque momento desideri. Attraverso un plot che esiste, ma che risiede all’interno di uno spazio vastissimo. Portando questo concetto nella vita reale la nostra missione sarebbe quella di andare a Messina. Potremo partire quanto vogliamo, fermarci dove vogliamo e prendere strade più lunghe o più brevi. Ma è solo arrivando a destinazione che sbloccheremo il secondo atto della nostra personale avventura.
Analizzando tecnicamente questo filone di titoli con il cinema vorrei partire dalle inquadrature. In questo genere videoludico lo scopo del game design è seguire perennemente il giocatore, portando la telecamera alle spalle del personaggio controllato. In aggiunta a questa tecnica, in molti casi, è possibile spostare la telecamera manualmente attraverso gli analogici dei pad. Viceversa, le inquadrature cinematografiche vengono usate solo nelle cut-scene non giocabili che vengono collegate senza soluzioni di continuità al giocato vero e proprio.
Come in L.A. Noire e nella maggior parte delle produzioni in terza persona, tranne in alcuni casi come Heavy Rain o i primi Resident Evil che fanno uso di riprese prettamente cinematografiche. Graficamente, ma ormai standard di tutti quei generi che vogliono rappresentare uno spazio realistico, abbiamo un uso dei colori naturale con una fotografia che deve molto alle tecniche usate nel cinema. Ovviamente il tutto portato in termini di linguaggio informatico (c++), con stringhe di codici che se ben ottimizzate in un Hardware all’altezza possono regalare texture iper-dettagliate e animazioni fluide non slegate tra loro. Il tutto con un frame rate  che oscilla dai 60 ai 30 fotogrammi per secondo che possono ridursi a causa di una pulizia del codice non ottimale. Nel frattempo che ci siamo ricordo che nel cinema l’aggiornamento su schermo è fissato a 24 fps.
Per concludere vorrei ricordare quei giochi che a parte la libertà fisica ci danno un certo controllo sulla trama principale. In L.A. Noire o in Heavy Rain le scelte compiute dal giocatore influenzano gli avvenimenti successivi, portando a finali multipli che accrescono di molto la longevità a causa della curiosità dell’utente nello scoprire come andrebbe a finire se venissero applicate tutte le possibili scelte.
Come accade nella trilogia di Mass Effect prodotta da EA che con il cinema condivide le atmosfere di Star Wars, o per essere più precisi quelle di Star Trek.
La saga EA lavora in questo modo: In ogni capitolo vanno prese delle decisioni che avranno effetti anche nel capitolo successivo. Quindi, ogni giocatore costruirà la propria personale trilogia che avrà fine a Marzo 2012 con l’arrivo nei negozi di Mass Effect 3.
Una narrazione interattiva che pone le basi per quello che saranno le opere videoludiche del domani. Opere multimediali che già adesso usano sistemi di interattività avanzata come kinect e Move che transitano i movimenti del giocatore nel mondo virtuale, e nel caso della periferica Microsoft tutto questo avviene senza l’uso di un controller fisico.
Prendiamo ad esempio Milo di Peter Molyneux. Il videogame, grazie a dei complessi algoritmi di intelligenza artificiale riesce a interfacciarsi con l’utente reale, proponendo una gestione dei dialoghi simile a quella possibile con un soggetto in carne e ossa.
Anche se in questa particolare meccanica è sicuramente presente qualche trucco tecnico, e il tutto non è propriamente gestito in tempo reale. Ma ci dà la visione di un futuro vicino dove i videogiochi saranno gestiti da un IA capace di modificarsi e relazionarsi semplicemente “guardando” il mondo circostante.

Fantascienza?
Ancora per poco.
Arrivati a quel punto la narrazione predeterminata, che è il rapporto maggiormente evidente tra cinema e videogioco, si evolverà in dei plot totalmente interattivi e dinamici non dipendenti dalla scelte fatte in origine dalle software house. E arriveremo a un domani dove il costruttore del gioco, o meglio dire l’educatore, saremo noi… l’utenza finale.