Intervista esclusiva a Indomitus Games – gli sviluppatori di In Verbis Virtus

Balzati agli onori della cronaca italiana nel 2011 non solo per la proggettazione di un gioco entusiasmante quanto innovativo come “In Verbis Virtus”, ma soprattutto per essere la prima Software House ad essersi distinta negli ultimi tempi (arrivando addirittura su Steam Greenlight),  i ragazzi dell’Indomitus Games si raccontano su Respawn.it in un’intervista esclusiva riguardo le ultime news sul loro titolo “In Verbis Virtus”, ma anche  sul rapporto tra l’Italia e il mondo videoludico.

1) Il 19 Giugno 2012 abbiamo avuto il piacere di provare la demo versione 0.2 di In Verbis Virtus. Sembra scontato ma vogliamo chiederlo lo stesso: a che punto siete e quando stimate di poterlo rilasciare?

(Risponde Mattia Ferrari, Programmatore)
Sembra scontato ma lo dico lo stesso: quando sarà pronto. Al momento ci è difficile dire una data, come sviluppo posso dire che abbiamo circa il 70% degli asset grafici, che, data la qualità che vogliamo ottenere, comportano un’entità di lavoro non indifferente. Al momento ci stiamo concentrando sulla realizzazione e calibrazione dei livelli e del sistema di combattimento; vogliamo prenderci tutto il tempo necessario riguardo al gameplay, dato che non avendo esempi di giochi simili siamo costretti a sperimentare (non che questo ci dispiaccia!). Per quanto riguarda la programmazione siamo a buon punto, e visto che nel nostro caso comprende anche l’integrazione e l’impostazione del sistema di riconoscimento vocale questo è sicuramente un fatto incoraggiante.

2) State lavorando sull’Unreal Engine di Epic Games, una garanzia nell’ambito della programmazione videoludica. Punto forte del vostro titolo, oltre all’aspetto grafico, sarà la possibilità di interagire con i vari scenari utilizzando la voce per lanciare incantesimi: da dove nasce quest’idea?

È un’idea che avevo da parecchio tempo, ma a parte qualche piccolo esperimento non ho avuto occasione di svilupparla fino a quando ho frequentato il corso Videogame Design and Programming del Politecnico di Milano, in cui abbiamo sviluppato il primo prototipo. Vedendo che l’idea funzionava, dopo il corso abbiamo deciso di continuarne lo sviluppo, aggiungendo al team altri membri con specifiche competenze.

3) Restando in tema, come pensate di arginare il problema riguardante la lingua da utilizzare per gli incantesimi? Pensate di continuare con l’inglese, lingua utilizzata nella demo, oppure con il latino, come il titolo del gioco, o, ancora, con una lingua inventata?

Attualmente la nostra intenzione è rilasciare il gioco con le formule magiche sia in inglese, in modo simile alla demo, sia in una lingua fantasy da noi appositamente inventata. Sarà il giocatore a poter scegliere quale lingua preferisce usare, e volendo potrà cambiarla in qualunque momento. Per inventare il linguaggio fantasy ci siamo basati sui suoni che sono più comuni tra le lingue di tutto il mondo e usiamo come ispirazione, tra le altre, latino e esperanto.

4) Potreste darci qualche informazione in più riguardo la trama di In Verbis Virtus?

Il gioco inizia con il protagonista che, dopo un lungo viaggio in un deserto, trova finalmente il tempio leggendario che sta cercando. I misteriosi costruttori di questo luogo, si narra, vi hanno nascosto all’interno le proprie conoscenze delle arti magiche. Il protagonista desidera, per delle motivazioni che saranno rese note, apprendere queste conoscenze, nonostante sia consapevole del fatto che debba affrontare molti ostacoli e pericoli.
Per ora posso rivelare solo questa impostazione generale, la trama nel gioco sarà ben più dettagliata.

5) Sia il nome della vostra software house, che del gioco sono in latino. Potreste spiegarci il perchè di questa scelta?

Abbiamo scelto questo titolo fin dal primo prototipo con lo scopo di rispecchiare l’anima “epica” e “mistica” del gioco e il latino, a nostro parere, evoca efficacemente questi concetti. Anche il fatto di non aver scelto una frase o un termine latino noto, come accade spesso per altri titoli, vuole rendere l’idea di “nuovo” e di innovazione che è propria di questo concept. Da un punto di vista più simbolico l’intenzione è anche quella di suggerire, con questo titolo volutamene astruso, l’importanza che il linguaggio ha all’interno del gameplay, indipendentemente dal fatto che il significato venga compreso o meno.
Riguardo al nome del team, l’abbiamo voluto in latino in modo che richiamasse il nome del primo gioco di cui ci stiamo occupando. Inoltre denota l’ambizione e la voglia di “osare” che ha caratterizzato il nostro progetto fin dall’inizio.

6) Indomitus Games potrebbe essere considerata come la prima vera software house tutta “made in italy”. Secondo voi, perchè l’Italia non investe maggiormente in questo settore fortemente in crescita, nonostante la crisi economica degli ultimi anni?

(Risponde Silvia Mandrioli, Responsabile PR)
Direi che il problema risieda in diversi aspetti che vanno dal fatto che l’industria videoludica italiana è ancora molto giovane, pochi sono i corsi e le formazioni possibili per i giovani che vogliono affacciarsi su questo settore. A tutte queste barriere d’ingresso si aggiunge anche la crisi. Crisi che sicuramente ha messo in ginocchio possibili investitori, nazionali ed esteri, e che non fa navigare in buone acque i nostri concorrenti d’Oltralpe. L’industria videoludica mondiale (fatta eccezione per l’Italia, chiaramente), è un industria che comincia a invecchiare e i suoi business manager, che hanno investito e investito e investito stanno cominciando a vedere i loro castelli di carte crollare, soprattutto perchè nessuno di questi business manager ha l’età per conoscere e applicare le tecniche necessarie per salvare le loro aziende dal tracollo dovuto a questa rapida e incontrollata ascesa. L’Italia può ringraziare di aver costruito un castello di sole tre carte ed è impossibile assistere a fenomeni come la decisione di Bigpoint di non sviluppare più videogiochi in America e licenziare 120 dipendenti o di EA di vendere al miglior offerente. Possiamo solo sperare che i business manager italiani siano più saggi e applichino il detto “being there, seen that, done that” per non cadere negli stessi errori.

7) Quale dovrebbe essere il percorso formativo in Italia di un ragazzo che vorrebbe diventare programmatore di videogames? È per forza all’estero la risposta?

La maggior parte di noi si è incontrata su indievault. it, che continua a restare, penso, uno dei migliori luoghi virtuali per fare un po’ di networking.
AIOMI, l’Associazione Italiana Opere Multimediali Interattive, a Milano e E-Ludo Lab a Catania  hanno sicuramente contribuito e continuano a contribuire al panorama videoludico italiano.
Io sono molto ‘accademica’ e resto dell’idea che, a meno che non siate dei piccoli geni, l’università continua a essere un buon terreno d’apprendimento. Non ho niente contro gli Erasmus, ma concetti complessi come la programmazione si imparano meglio nella propria lingua.
Poi, come ho fatto io, se volete andare all’estero e imparare una o due lingue in più, che non fanno mai male, fare qualche esperienza e vedere il mondo, voglio dire: perchè no?
Ma penso che i ragazzi di oggi abbiano molte più possibilità in Italia di quante ne avessi io quando terminai i miei studi.
Quello che è certo è che fare il programmatore non vuol necessariamente dire andare a lavorare e tornare a casa alle cinque. Una volta la tendenza era farsi assumere da qualche grande multinazionale e sperare di fare carriera al suo interno, ora, con la crisi, tutti lavorano da casa freelance. Non è solo in Italia che è così, è così anche in Francia, Gran Bretagna, Belgio, Stati Uniti. La maggior parte del lavoro la si trova via LinkedIn, con le connessioni giuste e nei gruppi giusti. È chiaro che a un neolaureato, la parola ‘freelance’ fa pensare a disoccupato, ma in realtà rende liberi: ci sono i sussidi alla disoccupazione, gli aiuti per l’inserimento sul mercato del lavoro. In Italia? Solo tutto più difficile perchè le istituzioni non fanno comunicazione su tutti vantaggi per i giovani e perchè non ci sono ancora organi che assistono i dipendenti nel loro passaggio verso la forma del libero professionista. Non sarà così ancora a lungo, comunque. Bisogna solo pazientare.